Parte centrale della Via della Seta, di Raffaele Banfi

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S o n i a
view post Posted on 5/8/2006, 13:37 by: S o n i a


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martedì 19 aprile 2005. verso Bukhara - parte prima

La bella, ristoratrice dormita viene interrotta dalla sveglia alle 7,30 che annuncia una nuova solare giornata. Colazione a buffet, controlliamo che le valige siano state caricate sul pullman, e poi in attesa di partire mi soffermo a parlare col direttore dell'albergo. E' lui che ci ha fatto preparare le prelibatezze che abbiamo degustato. Parliamo della situazione politica del paese e della pulizia nei locali pubblici; ci dice che in giro bisogna star attenti a quello che si mangia, il rischio di prendere qualcosa è elevato. Nel suo albergo tutto viene preparato da loro, dal pane, ai primi, ai secondi, ai dolci. Assolutamente non si fida a far preparare gli alimenti fuori dalla sua struttura. Ringraziamo il direttore per l'ospitalità che ci ha offerto e del fatto che si è prodigato con qualche autorità locale, affinché tutti i componenti del gruppo abbiano potuto entrare in Turkmenistan (inizialmente vi era il veto per tre persone, e solo grazie al suo intervento tutti abbiamo potuto visitare questo bel paese).
Si caricano le valige sul pullman e si parte per l'aeroporto, si recuperano i bagagli, check-in, attesa e, c'imbarchiamo su un Boeing 717. Il decollo, sempre molto "sprint" fa si che l'aereo si alza subito sulla verticale di Ashgabad che dall'alto appare in tutta la sua evoluzione urbanistica, è sempre più notevole il contrasto tra gli edifici sovietici e quelli moderni. Il verde è proprio tantissimo, si vedono pini a perdita d'occhio. Si vede il fiume che serve per le irrigazioni, alla periferia campi coltivati e poi .... il deserto rosso a perdita d'occhio (l'80 % del territorio turkmeno è deserto), ogni tanto piccole piante sorte qua e là, qualche laghetto, e mentre inizia la discesa attraversiamo una veloce perturbazione sabbiosa; la sabbia del deserto trasportata dal vento sbatte sulle ali dell'aereo. Poco dopo l'occhio rispazia lontano e vede solo deserto rosso costellato di piccoli arbusti che dall'alto appaiono piccole macchie verdi. In 40 minuti di volo arriviamo a Turkmenabat (LP 485).
Dall'alto la città si presenta con case ad un piano con tutt'intorno terreno coltivato, si vedono molte serre, ogni abitazione ha circa 1.500/2.000 metri quadrati di terreno coltivato. Il contrasto è molto forte deserto, fiume, campi coltivati.
Atterriamo all'aeroporto, lungo la pista vecchi ed inutilizzati, arrugginiti radar sovietici, che come degli scheletri immobili sono la testimonianza di un recente ma terminato passato.
Si recuperano i bagagli e ci dirigiamo verso i 3 pulmini che ci attendono per il trasferimento, con un percorso di 70 km, verso la frontiera con l'Uzbekistan. Dalle indicazioni di Maurizio, non dovremmo fare 4 ore di coda come nell'entrata, essendo già provvisti di visti il tutto dovrebbe essere più facile; speriamo bene.
Ci avviciniamo ai pulmini che sembravano nuovi, ma quando le portiere si aprono troviamo dei sedili in vinpelle, l'aria condizionata è data dai finestrini aperti e dalla velocità di marcia. Le strade sono piene di buche a volte enormi, il tragitto è a zig zag per evitarle. Si procede a velocità variabile, appena la strada è scorrevole la velocità aumenta, ma a volte le buche sono improvvise, inevitabili e fanno veramente sobbalzare.
Arriviamo ad un pagamento di un pedaggio, bisogna attraversare un fiume, il"fiume per eccellenza" il Amu-Darya (Oxus River), è il famoso fiume il cui alveolo era largo tre km, oggi non più di uno per il cospicuo prelevamento d'acqua per l'irrigazione dei campi.
Dopo una breve sosta, gli autisti comunicano con la guida, la quale c'informa che non possiamo proseguire a bordo dei pulmini, dobbiamo scendere ed attraversare il ponte a piedi; il ponte fatto di chiatte metalliche collegate una all'altra con delle semplici catene non potrebbe reggere il peso dei pulmini carichi di passeggeri.
Sul ponte transita rumorosamente di tutto, auto, camion. Quando passano tra una chiatta all'altra devono praticamente fermarsi e ripartire, il dislivello a volte è molto elevato e non permette un transito fluido. Comprendo che il nostro transito a piedi è il frutto di una delle solite "convinzioni" sovietiche, mi rammento sempre che sono un turista, e sorridendo proseguo.
Riprendiamo il viaggio, i posti di polizia aumentano, ogni incrocio importante è presidiato, le stesse domande: dove andate? Chi trasportate? Uno sguardo ai turisti e poi si prosegue.
Costeggiamo un canale, derivazione del fiume Amu-Darya, ogni tanto delle casupole con a fianco delle vecchie, arrugginite, ma funzionanti pompe sovietiche che servono per pompare l'acqua dell'irrigazione dal canale principale a quelli secondari. Il paesaggio è formato da una zona coltivata vicino al canale e poi deserto, deserto ovunque. Un deserto caratterizzato da cespugli e popolato da numerosi greggi di pecore.
Arriviamo alla frontiera poco prima delle 13 e, come in ogni paese comunista la pausa pranzo è un punto fondamentale nell'arco della giornata. Tutto si ferma ed anche qui, la frontiera viene chiusa dalle 13 alle 13,45 per permettere alla guarnigione di pranzare.
E' un'occasione per vedere uno spicchio di vita e di costume del Turkmenistan, poco distante dalla frontiera c'è un locale dove pranzano doganieri, camionisti, pastori, persone in transito. Approfittiamo anche noi della struttura e "degustiamo" i nostri cestini da viaggio. I turkmeni pranzano in modo tradizionale, verdure, zuppa, riso pilaf con carne di manzo bollita che spezzettata a piccoli pezzi, accompagnato da pane cotto al forno e da the verde. Il cibo viene cotto in un pentolone alimentato dal fuoco a legna, il riso cotto viene tenuto in caldo tramite copertura con un catino di metallo, la preparazione dei piatti avviene su un tavolo all'aperto. Cerco di fotografare la cameriera ma quando si accorge che impugno una macchina fotografica, ne suscito l'ilarità, non comprendo le parole che mi dice, ma il tono della voce e lo sguardo m'invita inequivocabilmente a riporre la macchina, con un sorriso di scusa la ripongo in tasca, ma la foto è fatta.
La struttura del posto di ristoro è formata da tre baracche di lamiera identiche a quelle dei nostri cantieri stradali, una serve per la cucina, una per il pranzo e la terza funge da dormitorio. I servizi igienici sono due baracche collocate nel deserto.
La tranquillità dei turkmeni è rotta dall'orda di italiani che simpaticamente fanno sentire la loro presenza.
Terminata la sosta pranzo risaliamo sui pulmini, a bordo dei quali transitiamo per il primo posto di polizia, alla dogana ci fermiamo, inizia la zona neutra, il corridoio è delimitato da più recinti di filo spinato. Recuperiamo le valige ed inizia l'attesa. Poco dopo il doganiere comincia a chiamare gruppi di 4 persone, entra il primo gruppo, le guardie ispezionano le valige e trovano dei tappeti. Un momento di tensione, vogliono sapere in quanti abbiamo i tappeti, altrimenti i controlli saranno accurati. Comunichiamo quanti di noi hanno acquistato tappeti ed il tutto procede con relativa velocità. Qui i formalismi sono sempre all'eccesso. Ritiriamo i passaporti con i visti, due ulteriori controlli, salutiamo Mussah la guida turkmena ed poi entriamo in un'altra parte di zona neutra. Qui ci attende una piacevole sorpresa, Nurik la guida uzbeka ci aspetta con il pullman. Carichiamo i bagagli, saliamo a bordo del pullman, dove il fresco dell'aria condizionata porta sollievo. Iniziamo le formalità per entrare in Uzbekistan, l'ennesima ed ormai scontata compilazione dei visti d'entrata e d'uscita.
Passiamo la frontiera e siamo sulla strada per Bukhara nella regione di Olet-Karakul, il paesaggio appare ricco di campi coltivati, l'irrigazione è notevole, assicurata dal canale che da ore stiamo costeggiando.
.... segue ....

Edited by S o n i a - 5/8/2006, 14:55
 
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